I Ricordi di zia Maria
capitolo 2
Arrivò il giorno che ci imbarcammo a Napoli su una nave non tanto grande, si chiamava Conte Grande. Era una mezza carretta, quelle erano le navi che c’erano allora, senza aria contizionata. In terza classe tutti i viaggiatori in un grande salone dove c’erano tanti letti, le donne in un salone coi figli, gli uomini in un altro salone, questo era per dormire. Di giorno si andava in coperta dove si vedeva tanta acqua, per diversi giorni si vedeva solo acqua, niente terra.
Io avevo 24 anni, la mia bambina tre anni. Ingomingiò la mia emigrazione, io che appena conoscevo il mio paesello ai piedi delle montagne del Matese! Mi trovavo sulla nave in un camerone coi letti a castello, a me dietero il letto sotto. Ci avevo la bambina, eravamo tutte donne quasi tutte con bambini. Si trovava sotto la nave, con piccolo spazio dove c’era come un cortile dove si vedeva un poco di luce, quella di fuori, in mezzo a un oceano che per diversi giorni si vedeva solo cielo e acqua. Io ci avevo la bambina di appena tre anni, in coperta ci salivo poco e niente, ci avevo paura per lei, ce ne stavamo sotto.
A metà viaggio la mia bambina ci venne una febbre fortissima. Venne il medico, mi trasferirono con la bambina in una specie di ospitale in mezzo a l’oceano. Là si stava un po’ meglio come posto, però a mia figlia la febbre non si toglieva. Se non mi morì fu perché era una bambina forte. Sola, con poca esperienza, si può figurare il mio stato. Dormivo, mi venne una gran tristezza, non potei più mangiare, lo stomaco me si chiuse, però ero una ragazza forte e lo superavo.
Dopo venti giorni di quel viaggio restato nei miei ricordi arrivammo a Buenos Aires. Mi venne a prendere mio marito e un suo fratello. La nostra bambina che l’aveva lasciata a otto mesi e l’aveva rivista che teneva tre anni se l’è presa fra le sue braccia ancora con febbre. Io chi sa la faccia che avevo, con quello che mi aveva capitato nel viaggio, sola con la mia bambina malata, stetti male. Per tutto il tembo che ci aveva la febbre mi si chiuse lo stomaco, non mi andava di mangiare, quindi arrivai debilitata.
Un’altra mezz’ora di viaggio per la città, arrivammo con mezzi publici che stava guitanto un vecchio italiano della emigrazione del Ottocento alla casa di una cognata, ci aveva la casa quasi nel centro della città. Subito chiamammo un medico che mia cognata conosceva. Era di sera, mia figlia fu visitata, ci ordinò qualche cosa e se ne andò.
Ci mettemmo a dormire in uno studio, arrangiandoci per la notte. Giusto ci stavamo addormentando, la stanchezza era tanta, bussarono alla porta. Era il medico, fu un medico bravo e ci disse: «Questa bambina ha bisogno di ricovero, non la potete curare voi in casa.»
Così ci siamo alzati, abbiamo presa la bambina malata in una terra straniera, coi mezzi publici arrivammo all’ospetale si chiamava Ospital del Nigno, si curavano solo bambini. Restò sola senza la sua mamma, era un ospetale solo per bambini e la dovettimo lasciare sola perché non permettevano che qualcuno di famiglia ci stava vicino. Ci si può figurare, lasciare la nostra bambina malata, sola in mezzo a gente che non conosceva e che non capiva parlare, fu un calvario per noi e per lei. Figuratevi il mio cuore, se non si spezzò quel tembo non si spezzerà più, però ho sofferto.
Però il giorno dopo che l’andammo a visitare stava meglio, la febbre già ne aveva poca. Dopo la ora di visita ce ne tornammo a casa della sorella un poco ringorati, penzando che arrivasse subito il giorno dopo per poterla rivedere. Ogni giorno che l’andavo a visitare stava meglio, la febbre non ce l’aveva più. Stava in una stanzetta con un’altra bambina un poco più grande.
Venne il problema: non voleva mangiare o non ci piaceva quello che gli davano, non era abbituata o non capiva come le parlavano, per lei era un’altra lingua. Così mi dietero il permesso di portargli da mangiare. Ebbi la fortuna di poter stare un poco di più con lei, però quando arrivava l’ora che me ne dovevo andare si aggrappava al mio collo e non mi lasciava, la lasciavo gritanto, figuratevi il mio cuore, era passata l’ora di visita me ne dovevo andare. Così passarono otto giorni di ricovero, la potevamo vedere solo a l’ora di visita, questi sono stati i miei primi giorni della mia emigrazione.
Mi dissero: «Forse domani vi porterete la vostra bimba.» Stava bene.
L’ultimo giorno andai io e mio cognato. Le dissi: «Entra tu ora, io non entro, non posso lasciarla critanto.»
Entrò solo mio cognato, io aspettavo fuori. Ugualmente, quando mio cognato se ne doveva andare, lei appena lo conosceva però i bambini intuiscono, si aggrappò al collo di lui e non lo lasciava, restò a gritare ugualmente.
Il giorno dopo le diedero l’alt, ce la portammo ben sana a casa di mia cognata ancora per qualche giorno, io sola, mio marito se ne andò ad aspettarmi alla nostra casa dove dovevamo abbitare, ci aveva il lavoro.