I Ricordi di zia Maria
capitolo 5
Intanto la nostra vita trascorreva tranguilla. Si lavorava, si mangiava, si andava a dormire, erano le uniche cose. Mai si usciva, da nessuna parte, al cinema non si poteva andare, stava lontano, si doveva viaggiare con i mezzi pubblici. Con due bambine era meglio stare in casa, si risparmiava in tutto.
In Argentina, dove sorgono una quantità di piccole casette di emigranti si chiama barrio. Il nostro eravamo quasi tutti italiani, la maggioranza siciliani e calabresi. Ci si faceva amicizia, ci aiutavamo a vicenta. Il nostro barrio si chiamava Loma Ermosa, significa in italiano colle bello. Così ingomingiò a diventare sembre più con comodità: si mettevano i negozi, piano piano si asfaldavano le strade, ogni uno che ci aveva la casa si pagava il suo pezzo di asfaldo, no che lo faceva il governo, ci anno messa la luce elettrica. Mio marito conosceva un amico vicino a noi che sapeva fare le televisioni, era pure italiano, a cambio lavoro mi ricordo mio marito le fece un lavoro di falignameria e così tenemmo la televisione.
Mi nacque la terza figlia. Quando la stavo aspettando ero quasi convinta che era maschio. Siccome a quei tembi si tenevano i figli e non si sapeva prima, si combrava a scatola chiusa, quando mi nacque restai molto delusa.
Mio marito mi venne a fare visita e mi misi a piangere. «E che c’è?» mi disse.
«Io credevo che avessi avuto un maschio!»
Lui mi disse: «Sta scema! È lo stesso!»
La chiamammo Ida, ce la portammo a casa, eravamo in cingue.
Con la casa stavamo molto meglio, facemmo altre due stanze con la cucina e un bel bagno comodo con doccia e tutte le comodità. Mettemmo un deposito sopra la casa con un motore elettrico, si riembiva e tenevamo acqua corrente. Il guaio era che d’inverno si faceva troppo fredda e se non si consumava non lo potevamo riembire di nuovo questo serbatoio. Sono cose che si potevano sopportare.