Citazione

La visita

I Ricordi di zia Maria
capitolo 9

Dopo aver spiecato tutto questo ritorno a dire da questo tembo che passò tutto questo intanto io tenevo i miei cingue figli e mia figlia ne teneva due. In quel tembo, era 1968, tanto con precisione non mi ricordo, il mio ultimo figlio ci aveva quasi tre anni e la mia nipote, la seconta, ce ne aveva un poco più di due. In quei tembi si poteva venire in Italia col viaggio che si poteva pagare un poco al mese, così mi entusiasmai a venire a visitare la mia famiglia, mia madre e i miei sorelle e fratelli, questo dopo diciotto anni di lontananza. Mio padre già non l’avevo più, l’ultima volta fu quando mi salutò che me ne partivo per l’America. Mi dovevo fare il passaporto, feci tutto e partii per l’Italia col mio bambino più piccolo in aereo non tanto grande. In quei tembi si viaggiava così, sul’aereo. In Brasile salì un uomo di colore. Il mio bambino, che per la prima volta vedeva un uomo così, ci si metteva davanti e lo guardava, così il necro se lo prese in braccio. Si adormentò nelle sue braccia.

Dopo tredici o quatordici ore arrivammo a Roma. Mi vennero a prendere i miei con due macchine una 500 e un’altra un poco più grante. Quando mio figlio vide gente che non conosceva si mise a piangere, non la smetteva più, era piccolo forse penzava di ritrovare il suo papà o le sue sorelle e vedendo gente che non conosceva non le piacque per niente. Io con abito a giacca un po’ pesandino (penzavo che in Italia ingontravo freddo, me lo combrai pagandolo un poco per mese, in quei tembi anche i vestiti si combravano pagandoli un poco per mese) mi sentivo caldo perché era la fine di settembre, faceva ancora caldo, tanto che giorni dopo siccome ci avevo una nipote che faceva la sarta mi cucì due vestitini più leggieri.

Il mio bambino di giorno si intratteneva abbastanza, pure perché quasi tutti i giorni andavamo a fare visita ai parenti, ne tengo tanti. Quando a diverse case ingontravamo i vecchietti o vecchiette lui le guardava come fece col necro nel avion perché dove abitavamo in Argentina eravamo tutti giovani, il più vecchio poteva tenere un cinguanta di anni più o meno. Per lui era una novità di vedere vecchi di ottanta anni, qualcuno anche di più.

La sera però, quando per andare a dormire le mettevo il pigiama, ingomingiava a piangere. Si faceva quasi un’ora di pianto, me lo mettevo vicino, le raccontavo tante favolette, le parlavo in gastegiano, la lingua che lui conosceva. Mia madre non capiva e diceva: «Parlate come gli zinchiri!»

Io credo che lui penzava ora si è fatto notte, torniamo a casa, si accorgeva che così non era e piangeva. Povero piccolo, stette diversi giorni che non andava di corpo. Io mi preoccupavo e le dicevo: «Andiamo al bagno, a mamma.» E lui: «Voglio andare a casa mia! Qua non ci voglio andare!»

A casa sua ci aveva un bel banchetto, ce lo aveva fatto il papà. La mattina lo mettevo sul vasetto col banchetto, le mettevo dei soldatini, dei cavallucci, si intratteneva più di un’ora e faceva due cose: giocava e faceva anche l’altra cosa. In Italia questa comodità gli mancava. Dopo che passarono diversi giorni si ingomingiò ad abituare e stette meglio. Stettimo due mesi in Italia, si ingomingiò ad imbarare anche qualche parola nel nostro dialetto. Secondo la mia esperienza, i bambini quando sono piccoli non si devono far cambiare casa o posto perché ne soffrono più dei grandi.

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