I Ricordi di zia Maria
capitolo 12
Si è fatto giorno, stavamo al nostro paese e ci sembrava un sogno. Venimmo con appena centocinguanta mila lire, mi ricordo che nel 1972 con questa cifra si cambava quasi tre mesi.
Mia sorella abitava vicino, molte volte ci combrava mortadella e ce la dava e qualche altra cosa.
Passarono i primi giorni, mio marito si mise a lavorare come falegname a una falignameria più grande, si facevano porte e finestre, guadagnava tremila lire al giorno.
I miei figli a scuola, mia figlia più grande due classe più in dietro siccome non sapeva l’italiano. Il mio seconto figlio dalla terza media lo misero alla quarta elementare. Quello che si trovò bene è l’ultimo che ci aveva sei anni, ingomingiò in Italia.
Un giorno andai a vedere dove stava la mia casetta che abbitavo. Non ci stava più, al suo posto c’è un officio postale. Il ruscello non ci sta più, l’acqua era potabile, si è approfitata, al mio paese cè una sorgente, dal corso del ruscello ci hanno ricavata una strada.
Si comingiò una nuova vita, mio marito ogni tanto la sua bronchite cronaca non lo lasciava, si ammalava ugualmente, però il medico e le medicine non si pagavano. Si curava, l’aria del suo paese pure lo aiutava abbastanza, la superava più in fretta.
Si andava avanti alla meglio che si poteva senza lamentarci. Si aveva 5 lire ce le facevamo bastare, ce ne avevamo 10 ce le facevamo bastare. Lui lavorava, io in casa con i figli e mia madre che stava con noi nella sua casa, faceva da mangiare, facevo le pulizie per tutti. Tiravamo avanti non facendo mancare mai niente ai miei tre figli che ci eravamo portati, le due prime figlie stavano in Argentina stavano sposate.
La mia figlia che portai in Italia a scuola andava benissimo, fece due anni in uno, ricuperò un anno era brava. Prese la sua prima borsa di studio, la prima cosa mi combrò un cappotto, il primo della mia vita. Sono ricordi che restano, mi piace menzionarli nel mio scritto. Ne prese diverse borse di studio, mentre il figlio maschio che tanto allecria mi aveva dato quando nacque, di studiare non ne voleva proprio sapere. Il cambiamento lo risentì, pure perché era bello, le ragazze non lo lasciavano tranguillo. Ce n’era una che abbitava vicino a noi, le girava sembre intorno. Invece di andare a scuola molte volte facevano filone e se ne andavano camminando. Il direttore dei Salesiani ci mandava a chiamare spesso dicendoci che nostro figlio non andava a scuola.
Un giorno si ritirò e mi disse: «Mamma, mi devi combrare un anello, dobbiamo andare alla casa di Anna, mi devo fitanzare in casa.» Ci aveva 16 anni. E io: «Ma sei matto? Devi andare ancora a scuola!» Sai le mamme come sono, quando ingomingiano a dare consigli non la finiscono facilmente. Lui si arrabbiava, non mi rispondeva, ingomingiò a dare pugni nel muro. La mamma allora cosa fa? «Finiscela, va bene, facciamo quello che vuoi tu.» Andammo a combrare l’anello, andammo a fare il fitanzamento in casa, ci starebbe tanto da raccontare di questo figlio, mi fermo quà.
I miei ricordi tornano indietro. Erano passati 6 mesi che eravamo tornati in Italia, siamo stati ad abitare nella casa di mio fratello, si liberò la casa di mia madre. Ci sistemammo nella sua casa con lei, ci erano due stanze a piano terreno e tre a primo piano. In una stanza si sistemarono per dormire mia madre e i miei tre figli, in un’altra io mio marito e in una più piccola era la cucina e un piccolo bagno. Mio marito lavorava quando stava bene, perché si ammalava pure in Italia, non tanto spesso come in Argentina.
Io con la casa, i miei figli e mia madre la quale ingomingiò a richiamarmi peresembio quando le combravo qualche cosa ai miei figli, la nutella o altre cose che per lei erano cose che non si dovevano combrare. I miei figli non dicevano niente però mi accorgevo che non le piaceva questa cosa. Mia figlia si metteva a rassettare, quando si rassetta si aprono le finestre, questo non si poteva fare perché diceva che si sentiva freddo, e tante altre piccole cose. Vedevo che i miei figli ne soffrivano, allora io che potevo fare? Quella mi era madre, quelli mi erano figli. Stavo nella sua casa, così le disse a mio marito: «Sai che dobbiamo fare? Trovarci una casa, pure che dobbiamo pagare l’affitto non imborta, questa situazione non mi piace. Di mia madre mi dispiace, anche dei miei figli.»
Così ci mettemmo in cammino per il paese e ingontrammo una casa nel centro storico. Pagavamo dodici mila lire al mese, dopo un anno ce l’aumentarono a sedici. Ci trasferimmo nella nuova casa, erano due stanze, la cucina e il bagno. Mia madre quando se ne accorse che ce ne stavamo andando non le piacque per niente, se ne andò prima lei da una mia sorella. Io l’andavo a trovare spesso, le dicevo: «Sai mamma, non è che me ne sono andata perché non ti voglio bene, è che io vedo che non andate d’accordo con i miei figli. Sai, tu mi sei mamma, loro mi sono figli, li ho portati da tanto lontano, non mi piace vederli che devono sopportare una nonna con esaurimento che tutto le da fastidio, per questo me ne sono andata.»
Così passarono due anni, questo nel 1973-1974, mia mamma si stancò di stare con mia sorella, se ne andò nella sua casa e si mise nelle stanze di sotto. Io l’andavo a trovare spesso, ripeto, mi era mamma, non si poteva fare diversamente. Un giorno mi disse: «Perché non ti vieni di nuovo a vivere con me? Sto sola, sono vecchia, ci vuole chi mi fa le pulizie, chi mi fa da mangiare, non lo posso fare.» Mi disse: «Io mi sto giù, non mi metto nei fatti vostri, così cercheremo di andare bene.»
Mi convinse, tornai con lei. Si portò come si portano le mamme. Si stava giù così non faceva neanche le scale, facevo da mangiare ce lo portavo giù, le facevo tutto quello che se le doveva fare come una brava figlia. Si vede che si trovava bene con me e stette sembre con me per diversi anni. Un giorno arrivò la morte, ci aveva 88 anni, se la portò.
Io restai nella sua casa che era poi di sei fratelli e sorelle. Si mise in vendita, nessuno se la combrava. Mi misi d’accordo con loro me la combrai io. Siamo riusciti a tenere la nostra casa anche in Italia. Piano piano l’aggiustavamo perché ci mancavano diverse comodità, tante cose le sapeva fare mio marito. Tante volte mi metto a penzare come due persone sono capace di fare tante cosette con poche risorse, è che fra di noi c’era l’accordo e la combrenzione. Lui lavoratore e io sapendo aggire con la casa, i figli, le nostre mamme, che poi ne furono due, la mia e quella di mio marito. Siamo andati in America diverse volte, ritornati, aggiustato la casa. In America ci ritornavamo perché ci avevamo due figlie sposate con la sua famiglia, ci erano tre fratelli di lui e una sorella con le famiglie, ce ne abbiamo parenti anche stretti in Argentina.