I Ricordi di zia Maria
capitolo 13
Mio nonno paterno si chiamava Raffaele Martino, di mestiere faceva il pastore. Me lo ricordo pochissimo, morì quando io ero piccola, era abbastanza giovane quando morì.
La mia nonna paterna si chiamava Angela Maria Rossolino, me la ricordo benissimo. Ero grandicella, ci avevo sette o otto anni, delle volte, anzi più delle volte, mia mamma mi chiamava e mi diceva: «Devi andare a fare combagnia a tua nonna.» Prima che non si faceva buio mi toccava lasciare tutta la combagnia e andare da mia nonna a dormire, camminando per una decina di minuti tanto stava lontano da noi. Prima di andare a dormire più delle volte mi portava casoliando per i suoi vicini, per passare un poco di tembo, una sera a una casa e una sera a un’altra. Loro parlavano del più o del meno, a me mi toccava ascoltare e starmi ad annoiare, zitta e cueta vicino a nonna. A una certa ora si andava a dormire, io vicino a lei nel suo letto, lei si diceva non so quanti rosari io mi addormentavo con il suo bisbiglio. La mattina, prima che si faceva giorno, si andava a messa. Lei passando vicino a una fontanella (a quei tembi l’acqua in casa non ce l’aveva quasi nessuno) si lavava la faccia, si asciucava vicino al suo grembiule che portava. Tutte le vecchiette di quei tembi usavano un grembiule con le sacche dove ci avevano il suo necessario, per esembio il fazzoletto, qualche spicciolo, qualche fico secca, qualche aveggiana (sono quelle noci piccoline), ce ne dava qualcuna. Ci sentivamo la messa, lei si metteva quasi sembre avanti del tutto, io a lato zitta e cueta. Si finiva la messa, lei se ne andava a casa sua io a la mia, giusto si era fatto giorno. Spesso a lei ci dispiaceva forse svegliarmi, mi lasciava a dormire. Molte volte mi svegliavo e ai piedi del suo letto ci aveva un baule dove sembre ci teneva le famose nocelle e fico secche, così riuscivo a mangiarmene qualcuna in più.
I miei nonni materni lui si chiamava Domenico Santangelo, era abbastanza cattivo con i nipoti. Quando mia madre ci portava ci faceva fare il soldato, ci dovevamo stare fermi e non dovevamo toccare niente. Faceva il contadino, guai se andavamo nel suo terreno. Ci aveva tanta frutta non la dovevamo toccare, solo lui ce la doveva dare.
La nonna era buona, si chiamava Speranza Amato, peccato che abbastanza giovane le venne un infarto. Restò molto male, non poté più parlare. Sporcava dove si trovava trovava, non se ne accorgeva. Visse diversi anni così. Ricordo il suo sguardo quando l’andammo a trovare con mia madre, ci guardava tanto e non ci poteva dire niente.