I Ricordi di zia Maria
capitolo 14
La mia fangiullezza, scrivendo più o meno le cose che mi sono restate più imbresse.
Il mio primo ricordo ci avevo quattro o cingue anni, la mia mamma certamente qualche volta si doveva assendare mi lasciava in gustodia a due miei fratelli più grandi. In questa casa ci stava la cucina sotto e le stanze da letto sopra, per salire certamente ci stava la scala. Io sto vedendo io e i miei fratelli stavamo seduti su uno di questi scalini, io in mezzo e i miei fratelli ai lati. In quei tembi eravamo solo noi tre, io non sapevo ancora parlare bene, i miei fratelli per divertirsi mi dicevano: «O dici il Patre Nostro in latino se no ti tappiamo la bocca.» E lo facevano con le mani, e io mezzo piangendo cercavo di dirlo, lo dicevo male e loro loro si crepavano dalle risate. Io non lo volevo dire, mi accorgevo che mi predevano in giro, loro mi tappavano la bocca con le mani così ero costretta a farli divertire. Uno ci aveva 8 o 9 anni e l’altro ci aveva o 7 o 8 anni, con precisione non ricordo, questo più o meno succedeva nel 1931 o 1932 quando giocattoli non esistevano, si giocava di altri modi, anche questo era uno dei modi quando i fratelli magiori erano capaci anche di mettere le mani chiudendo la bocca alla sorellina non facendola respirare. Così col mio Padre Nostro detto male loro si divertivano. Ora che sono anziana il mio consiglio è: mai lasciare i piccoli soli perché sono fantasiosi, possono fare cose che non si devono fare.
Mio padre era minatore, questo era il suo lavoro. Faceva i buchi nelle pietre grandi, ci metteva la dinamite e le faceva esplodere così diventavano tante pietre piccole. Prima le case si facevano con le pietre, ancora non esistevano altri materiali. A volte ci aveva lavoro e tante volte no, però la mia mamma era molto brava per fare economia, quando ci aveva i soldi li sapeva bene amministrare. Fecero dei risparmi, combrarono un terreno dove ci fecero una casa e ce ne andammo ad abitare. Mio padre piantò frutta, uva e tante altre cose.
La nostra casa era abbastanza piccola. I miei, per guadagnare qualcosa, una stanza fecero un divisorio alla meglio e l’affittarono a una signorina anziana. Io e i miei fratelli quando lei non ci stava riuscivamo a passare e le andavamo a toccare le sue cose, mi ricordo ci aveva tanti cappellini fatti di lana, questo fanno i piccoli con le sue curiosità. Si faceva il bagno un recipiente grande di rame, se potevamo la spiavamo.
Nel nostro piccolo terreno mio patre ci piantò tanti alberi di frutta. Poco distante c’era una pianta di melagrano, è un frutto che prima che viene l’inverno si raccoglie e si mette dentro casa per mangiarlo giorni dopo. Mio nonno le stava raccogliendo, io e mia sorella che viene dopo di me stavamo girondolando nei dintorni. Mia sorella aveva preso l’abitudine di succhiarsi il dido pollice, se lo succhiava tanto che si era fatto delicato, così si appogiò con le mani sopra a un gradino della scala dove il nonno raccoglieva la frutta. Non avendola vista andò per scendere, le mise il piede sulla sua mano e le fece male proprio quel dido. Mia sorella si levò il vizio.
Un altro giorno i miei fratelli giocavano salendo sugli alberi davanti casa. Uno dei miei fratelli penzò ora faccio la pipì da sopra all’albero, l’altro fratello stava giocorellando sotto così le fece la pipì addosso. Si mise a piangere, andò da mio padre: «Vedi papà, Raffaele mi ha fatto pipì addosso da sopra all’albero!»
Mio padre era uno alla buona, che io mi ricordo non ci picchiava mai, prese a mio fratello che piangeva per mano, lo accombagnò sotto l’albero che c’era, l’altro lo fece scendere aiutò l’altro a salire, prese Raffaele lo mise sotto e ci ha detto: «Ora fai tu la pipì addosso a lui così state pari.» Quello sopra ha detto a mio padre: «Non mi scappa!» C’è solo da ridere con questo episodio!
Un bel giorno a mia madre ci è nata un’altra sorellina, mi ricordo io la guardavo era piccolina, così eravamo 6, 3 maschi e 3 femmine, coi miei genitori eravamo 8, una bella famiglia, eravamo di diverse età.
Di giorno i più grandi andavano a scuola, di sera d’estate si giocava, pure nella strada, noi e altri, a nascondino, a ciuccio morto, allo schiaffo, nelle strade si poteva giocare tranguilli, auto ancora non esistevano. Vicino casa ci abbitava un vecchietto, lo chiamavano Masto Ciccio, si metteva sedudo su uno scannetto e raccontava storie, tutti noi ci sedevamo per terra e ascoltavamo. Ogni tanto il vecchietto faceva qualche scorreggia, noi tutti a ridere, questo era il nostro divertimento.