I Ricordi di zia Maria
capitolo 15
A me mi piaceva mangiare l’uva quando non era matura, io credo per questo mi ammalai di tifo, ci avevo 6 o 7 anni e stetti più di tre mesi sembre con febbre. A quei tembi ancora non esistevano tante medicine come la pennicellina e tanti antipiocisi come ora, quando uno si ammalava non tanto era facile curare. Mi mettevano una borsa col ghiaccio sulla testa per fare abbassare la febbre. Intanto non mangiavo, mi sono addebolita tanto che neanche la voce mi usciva.
Nel mio paese c’erano solo due medici, i miei genitori mi fecero visitare pure da uno di un paese vicino, dopo tanti giorni di febbre mi ero tanto debilitata che neanche la voce per poter parlare mi usciva. I 3 medici le dissero ai miei che non ero più di questo mondo. A quei tembi si usava che quando i medici si licenziavano si chiamava il vescovo, il quale veniva a farti l’estremizione, ti metteva qualche cosa nella fronte e nella bocca, io credo che era una specie di olio. Però non stavo morendo, i miei occhi vedevano ancora bene, mi ricordo la casa piena di gente, vicini e parenti, vidi il vescovo che mi fece una specie di croce nella fronte, perciò non era vero che stavo morendo.
Chi sa quello che successe nella mia vita, forse fu un miracolo, ingomingiai a stare un po’ meglio e la febbre mi passò. Mi ricordo mio padre, quando veniva dal lavoro si sedeva vicino al mio letto, mi metteva l’orologio, quelli che si usavano a quei tembi con la catena, me lo metteva vicino all’orecchio, mi piaceva quel tich tich che faceva, debolmente sorridevo, lui si metteva contento. Così piano piano la febbre se ne andò, ingomingiai a stare meglio. Rigordo stetti diversi giorni che non mangiavo quello che mi piaceva di più, quando ingomingiai a mangiare era pane con i semi di pomodori. Ogni giorno veniva una vecchietta a farmi una siringa di calcio e altre sostanze per farmi rimettere e per non farmi piangere mi portava un bambinello fatto di zucchero, era bellino quasi mi dispiaceva mangiarlo. Mi dovetti imbarare a camminare, ci avevo quasi sette anni, la mia mamma faceva una fila di sedie, mi appogiavo e piano piano camminai di nuovo. Un giorno sono caduta e mi sono fatta male, il mento me si infettò ma piano piano anche quella infezione se ne andò.
Stavo meglio, ero grandicella, ci avevo sette anni e più, ingomingiai ad andare a scuola. Ero più grande delle mie combagne di classe, la malattia mi fece rimanere indietro. Quando la maestra ci metteva in fila per tre io ero più alta e con altre stavo sembre dietro a altre più piccole. Così pure nei banchi stavo seduta sembre all’ultimo banco, quei banchi di legno con le sedie attaccate di tre, di due e una alunna (di una ce ne stavano pochi), ci avevano i buchi per metterci l’inghiostro con le penne fatte di paletto, ci si metteva il pennino ogni tanto si doveva bagnare in quei buchi, si scriveva così a quei tembi lontani.
Ero alta, ero più grande e capitavo sembre dietro a tutte le mie combagne inzieme a quelle ripetenti, che pure erano più alte, le quali quando la maestra ci dava il tema di italiano, siccome stavamo dietro e non tanto ci poteva vigilare, le mie combagne mi chiedevano: «Me lo fai pure a me il tema?» Io ero capace di fare due o tre temi differenti, la maestra non se ne accorgeva. Mi davano per ricombenza, le combagne, dei fogli di quaderni, li mancavano dai suoi quaderni. In italiano andavo abbastanza bene, però a fare i broblemi non ero tanto capace.
Nella mia classe c’erano due figlie, una di conte e una di un duca (a quei tembi nel mio paese ci stavano i conti e i duca). La maestra ne teneva una a un lado del suo scrittorio e una dall’altro lato con banco piccolo a un posto. La maestra le coccolava, le aiutava, io ero gelosa, dicevo fra me perché questa differenza?
Intanto quelli erano i tembi, sono andata a scuola no con scarpe ma con zoccoli, erano fatti sotto di legno e sopra di stoffa e quando camminavo facevano abbastanza rumore. Sono andata pure a refezione scolastica, dopo che si usciva si andava a mangiare un piatto di minestra e una fetta di pane e si andava a casa. La refezione non era per i ricchi ma per i poveri, i miei tembi c’era questa differenza. Questo perché mio padre non ci aveva un lavoro fisso, quindici giorni lavorava e tante volte stava pure dei mesi che non lavorava, tanto lavoro a quei tembi non ce n’era. Eravamo sei figli, ci si arrangiava con la cambagna, ci si faceva l’orto, tenevamo frutta, quando era tembo la tenevamo e si mangiava.
Questo succedeva nel tembo del fascismo: nelle scuole si faceva il sabato fascista; quando erano le feste nazionali tutti i bambini ci avevano una divisa, le femmine una gonna picchettata di colore scuro con la camicia bianca e i ragazzi pantaloncino corto con camicia bianca e gravatta; era obblicatorio fare ginnastica molte volte durante la settimana, ci facevano scendere nel cortile e dovevamo fare ginnastica. Erano leggi che aveva messo il Duce capo del fascismo.