Citazione

Le mie vacanze di fangiulla

I Ricordi di zia Maria
capitolo 16

D’inverno andavo a scuola, al ritorno a casa molte volte mi aspettavano le caprette, le dovevo portare a pascolare. Le volte che mio padre stava imbegnato con qualche altro lavoro, mi toccava a me. La sera mi facevo i combiti.

Quando finivono le scuole e c’era la vacanza, nel mese di giugno si raccoglieva il grano. Mia mamma ci aveva i parenti che lo coltivavano ed era lontano da dove abbitavo 4 o 5 chilometri, a me e mia sorella che eravamo grandicelle ci svegliava alle cingue del mattino, ci portava camminando in questi cambi di grano. Dopo che si mieteva restava qualche spica, il nostro lavoro era di raccogliere quelle poche spiche. Si facevano mazzetti come si fa coi fiori, si legavano, si mettevano dietro a noi e fino a le nove del mattino si riusciva a farne una diecina di questi mazzetti.

Poi il sole era caldo e si lasciava, si andava sotto gli alberi e si mangiava qualche cosa e si riposava. Alla sera ci mettavamo questi mazzetti sulla nostra testa e ce li portavamo a casa. Così tutto il tembo della raccolta del grano. Qualche poco di provvista si riusciva a farla, si doveva penzare per l’inverno che era lungo.

Nel mese di luglio si scioglievano questi mazzetti, li mettevano sopra a una casetta che tenevamo per la legna che sopra era fatta a cemento, la usavamo come aia. Il sole di luglio li seccava. Li battavamo con un attrezzo fatto in casa, si trattava due paletti uno più lungo e uno più corto, si univano con un pezzo di cuoio e con questo arnese si battevano queste spiche, così il grano andava sotto e la paglia restava sopra. Questo arnese si chiamava uviglio. Col rastrello si levava la paglia e restava il grano. Con un altro arnese che si chiamava vaneglio, era fatto rotondo con un pezzo di retina, si doveva fare roteando le braccia. Il grano restava quasi pulito così si conservava nei sacchetti.

Quando si portava al mulino per fare la farina, un giorno prima si lavava, doveva essere un giorno di sole. Si seccava, si portava a macinare per diventare farina e poi pane. Che vi pare, era caro il pane di quei tembi no…!

Queste erano le mie vacanze quando chiudeva la scuola.

Ho fatto fino alla quinta elementare, dopo fino a quando sono diventata più grande ho aiutato sembre ai miei genitori in tutte le cose che c’erano da fare per andare avanti, nel mio piccolo qualcosa lo facevo.

Abbitavamo in un piccolo castello sopra a una collina, in mezzo agli ulivi. Sotto stava il paese, a piedi ci volevano una decina di minuti per arrivare nel paese, a salire ce ne volevano molti di più. Il padrone abbitava a Napoli, spesso veniva a passare le domeniche e le feste nel suo castello. Ci aveva il piano di sotto, quello sopra stavo con la mia famiglia.

Eravamo in otto, ci coltivava gli ulivi mio padre e facevamo i guardiani in questa collina. Ci avevamo le galline, i conigli, il maiale per ammazarlo dopo che era grasso per farci la provvista, le caprette per il latte, e qualche capretto che nasceva si vendeva e mamma una volta a uno e una volta a un altro ci comprava le scarpe o qualche vestito con il ricavato di queste vendite. Le uova, poche ce le mangiavamo e altre si vendevano. Con il ricavato si combrava lo zucchero e il sapone.

Questo era il modo di vita che si faceva ai tembi della mia infanzia, non c’era tele né radio né niente, però tutte le canzoni che si sentivano le sapevo tutte e le cantavo, non so come facevo.

Certe sere di inverno faceva tanto freddo, ci andavamo a dormire presto, con poche coperte non si stava tanto caldi ma si superava. Veniva il giorno, si accendeva il fuoco, tutti a torno quando non si poteva stare fuori col freddo, così passavano anche i giorni.

Nel 1940 scoppiò la guerra, ho vissuto anche quegli anni, in mezzo ai teteschi. Ce ne stavano pochi nel mio paese, a noi non ci hanno fatto nessun male, anzi quando hanno minato un ponte che stava vicino casa ci sono venuti ad avvisare dicendoci che dovevamo allontanarci per un po’ perché lo spostamento d’aria ci avrebbe imbauriti e fu certo, perché quando siamo ritornati in casa trovammo tutte le porte e finestre aperte.

Ci sono stata quando sono arrivati gli americani, sono stati accambati diversi mesi perché a Cassino non li hanno fatti passare, quei pochi teteschi che c’erano li tenevano ben a bata, così hanno spatroneggiati da Roma in su per diversi mesi.

Un poco sto raccontando anche della guerra che passò tanto tembo fa, ci sarebbe tanto da dire però mi fermo qui è difficile esprimermi.

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