Citazione

Il Ventennio

I Ricordi di zia Maria
capitolo 17

Nel tembo del fascismo il Duce mise la legge che chi teneva sette figli non pagava tasse e gli dava qualche aiuto. Noi eravamo sei, non tenevamo questa fortuna, allora i miei genitori ne volevano fare un altro. La mia mamma lo stava aspettando però successe che con una paura lo perse. Dovette dar conto alla legge come era sucesso. Quando comandava Mussolini succedeva questo, se una abbortiva si doveva andare a dichiarare l’abborto come era avvenuto. Se si faceva come si fa adesso c’era pure il carcere perché Mussolini voleva molti figli. Io a quel tempo ci avevo sei o sette anni, mi ricordo la faccia di mia madre di paura. Così restammo sei figli, niente risparmio sulle tasse.

I miei genitori non so come riuscirono a risparmiare quelle quindici mila lire per combrarsi un bel pezzo di terra un poco fuori dal paese. Quando mio padre andava a chiedere lavoro le dicevano che eravamo propetari e il lavoro non ce lo davano, così si viveva alla meglio con l’orto. In quel terreno mio padre fece una cava dove uscivano le pietre. Prendeva piedre, le allineava facendo dei montoni quadrati, le più grandi allineate per fuori e le più piccole in mezzo. Così quando venivano quelli per combrarsele si misuravano col metro, tanti metri tanti soldi, sembre pochi. Allora, per fare le case, si usavano le pietre per fare i muri. Molte volte c’era abbastanza richiesta. Così vivevamo a quei tembi.

I miei vedevano che così non si poteva vivere e si vendettero il pezzo di terra con una casetta, con la speranza che a mio patre le davano lavoro. Lavoro non ce n’era ugualmente, si doveva vivere alla meglio che si poteva. La piccola proprietà la vendettero per venti mila lire.

A mia madre per eredità le toccò un altro pezzetto di terra con tre stanze, due sotto e una sopra, a primo piano era la stanza da letto, a un altro paese a sei chilometri di distanza. Andammo a vivere là. Tutte le mattine, mi ricordo, io e mia sorella ci dovevamo fare sei chilometri a piedi per andare a scuola. Questa casa era divisa a due, a un lato stavamo noi, eravamo otto coi miei genitori, a l’altro lato ci abbitava un fratello di mia madre che non teneva figli. Salivamo per la stessa scala.

Io mi ricordo me la passavo cantanto tutto il giorno, canzoni che uscivano, canzoni che imbaravo, senza radio (qualcuno ce lo aveva nel paese, per la cambagna senza la luce elettrica non si conosceva).

Proprio eravamo sei, si può ficurare il chiasso che facevamo. Questo benedetto di mio zio non ci sopportava, così mio padre incontrò un pezzetto di montagna con un castello piccolo, una specie, sopra al mio paese. C’erano ulive. Il padrone stava a Napoli, ci necessitava un guardiano per la casa. Le ulive quando si faceva l’olio era a metà. Ce ne adammo a vivere là, la casa solitaria, potevamo cantare, non davamo fastidio a nessuno, non c’erano vicini. Era bello, si vedeva tutto sotto, il paese e altri un poco più lontani, tanto che mi ricordo quando ci fu la guerra gli aerei americani andarono a bombardare a un paese vicino, mi ricordo benissimo erano come una decina di aerei a bassa quota, tirarono bombe che si vedevano come cadevano e mia madre con le mani nei capelli gritava: «Alife mio! Alife mio!» Mia madre quando era giovane viveva in quel paese.

Ricordo la povera mamma, in quei tembi eravamo in otto coi genitori, tante cose per mangiare non si trovavano, non so come faceva il piatto di minestra ce lo faceva sembre. Tante volte doveva fare il pane anche due volte la settimana. Lei però in estate quando le scuole erano chiuse per vacanze ci faceva alzare anche le cingue del mattino, i più grandicelli, ci portava nei cambi a guadagnarci qualche cosa per l’inverno. Lei ci aveva molti parenti che facevano i contadini, lavoravano molti terreni, noi aiutavamo e la sera portavamo a casa cose da mangiare. Mi ricordo una mattina io e mia sorella un poco più piccola di me, era tembo di querra e al mio paese c’erano ancora i teteschi, ci mettemmo in cammino facendo cingue o sei chilometri e andavamo nei cambi. Era il tembo che si raccoglievano i faggioli, dopo che si raccoglievano qualche poco che cadevano noi li raccogliavamo e la sera a casa si portava qualcosa.

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