Citazione

La bicicletta

I Ricordi di zia Maria
capitolo 19

Venivano a giocare con noi altre ragazze vicine, mi ricordo che ci cambiavamo la fetta di pane, io ci davo un pane più nero che lo faceva mia madre e lei mi dava la fetta di pane bianco che si vendeva. Il padre di lei lavorava nella stazione del treno che sta a Piedimonte, quindi era più benestante. Mi ricordo davanti alla mia casa ci stava un gratino, lei metteva un lembo della sua gonna, con una pietra ci faceva dei buchi e diceva: «Così la mamma mi combra l’altra.» Io restavo meravigliata.

Venduta la nostra casa col pezzetto di terra, ce ne andammo ad abitare a pochi metri più sotto, la casa di una famiglia benestande, una casetta piccola si doveva pagare l’affitto, c’era pure un pezzo di terra. I miei lavoravano in quel pezzetto di terra, ci piantavano un poco di tutto, con quello che si raccoglieva un poco si riusciva a vivere. Qualche volta mio padre lavorava, quando riusciva a trovare qualche giornata che prendeva un poco di soldi, così si cercava di andare avanti alla meglio che si poteva. In quella casa un poco lontano dal centro del paese ci stava pure un pezzo di terra dove i miei genitori la coltivavano.

Verso sera venivano giovani, figli di amici e parenti di mia madre che era di Alife, un paese vicino. Siccome Piedimonte era un poco più grosso venivano a casa nostra, posavano le loro biciclette, andavano nella piazza per ingontrarsi con amici, pure qualche ragazza. Io e i miei fratelli prendevamo queste biciclette, ci facevamo dei giretti fuori la strada che non era pericolosa, non esistevano ancora auto. Un giorno volli provare ad andare senza mano, chi sa come feci persi l’eguilibrio, caddi con il mento sopra l’asfaldo, mi feci abbastanza male. Intanto rientrai a casa, posai la bicicletta, me ne andai sopra la stanza, non dissi niente a mia madre per non avere il resto. La ferita mi faceva un male da morire. Passando i giorni mi sanai senza nessuna cura, restai per parecchio tembo con la faccia gonfia. Fino a questi ricordi voglio dire che era 1935 o 1936.

Intanto pure essendo mio padre nulla tenente lavoro non ce ne stava, tanto non riusciva a lavorare. A mia madre le morirono i genitori, la sua proprietà le toccò ai figli, a mia madre le toccò due stanze con un poco di terra. Penzarono di andare ad abitare là così non si pagava l’affitto, ci spostammo da Piedimonte ad Alife. Io e una delle mie sorelle andavamo ancora a scuola, tutti i giorni quasi per due anni ci facevamo dieci chilometri al giorno per andare e tornare, si faceva, era così, a quei tembi si camminava a piedi.

In quella masseria ci abbitavano due famiglie, noi e un fratello di mia madre. Ci stavano due stanze sopra e due sotto, una scala in mezzo. Dopo salite le scale ci stavano le porte delle stanze, una a destra e una a sinistra. Sotto erano la cucina e una per le provviste. La sera si andava a dormire tutti in una stanza, ci avevo un fratello più grande, ci aveva 18 anni, altri e cingue tutti a due anni di distanza. Mio fratello grande ci aveva la fitanzata a Piedimonte, tutte le sere o per la fitanzata o per gli amici se ne andava facendosi diversi chilometri con la bicicletta.

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