I Ricordi di zia Maria
capitolo 21
L’età dell’adolescenza ci sono più cose e ricordi. I miei giorni li passavo facendo diversi lavoretti per la casa, ero la più grande delle 3 femmine, lavare, pulire (a quei tembi non c’era tanto da pulire, quel poco che si faceva), lavorare fuori quando c’era da fare, per esembio pulire sotto gli alberi delle ulive, quando era il tembo che si raccoglievano si prendevano per terra, doveva stare pulito. Le piante ben coltivate, quello lo faceva mio padre.
Ci avevamo un’altra casa un poco più lontano da casa in una vallata in mezzo alle montagne, mio padre l’aveva ereditata dai suoi. C’era tanta frutta a parte piante di ulive. D’estate uno di noi se ne doveva andare a passare la giornata là per stare attenti che non si rubavano la frutta (a lato ci passava una stradetta, molta gente andavano a prendere la legna, passavano di là, vedendo che c’era frutta se non ci stava nessuno entravano e se la prendevano), molte volte mi toccava a me. Mi portavo un poco di pane, qualche altra cosa, mi passavo la giornata là candando. Qualche libro leggevo, mi piaceva tanto leggere, ancora mi piace. Quando cantavo faceva l’eco, era bello ascoltare l’eco. Di fronte c’era qualche vaccaro stava pascolando le vacche, mi ricordo c’era un ragazzo un poco più piccolo di me, lo vedevo da sopra alla finestrella della casa che c’era. Quel ragazzo si divertiva facendo casette piccole con pietre. Se se ne andava prima, io andavo a guardare come stavano fatte. Queste erano le cose che si facevano per passare il tembo fra le montagne, si viveva senza malignità, non c’erano pericoli pure stando soli in mezzo alla montagna. Verso sera mi ritiravo a casa sulla collina.
Per scendere in paese ci volevano una decina di minuti. D’inverno con gli zoccoli di legno camminando sopra le pietre si conzumavano tanto, diventavano quasi trasparenti. D’estate scalza con le scarpe in mano arrivavo giù, ci stava una casa che ci abbitava una famiglia ci stava amicizia, passavo di là quasi tutti i giorni. Davanti a questa casa ci stava una bella vasca con una fontanella, mi lavavo i piedi e mi mettevo le scarpe. Si andava in paese sembre per servizi che servivano per la famiglia. La domenica si scendeva per andare a messa, mi mettevo un vestito della domenica.
Ai piedi di questo Monte Cila c’è una casa con tante stanze solo con tante finestre, è proprietà dei conti che c’erano allora. C’è una cappellina, si chiama la Cappella della Madonna delle Grazie, tutte le domeniche verso le nove c’era la messa. A quei tembi c’erano più preti, le messe si dicevano quasi a tutte le chiese combresa anche a questa cappella, più perché ci abbitava la contessa vicino. Io me la ricordo, la vedevo uscire dal portone di casa sua, era una bella signora anziana vestita correttamente con le trecce avvolte. Il prete ci aveva una mano offesa, diceva delle belle prediche. A me quello che più mi piaceva della messa era la predica, era parlata in italiano mentre la messa parlata in latino ci si capiva poco, però tutte le domeniche quasi tutti andavano a messa. Dopo la messa mi facevo una passeggiata per il centro del paese, mi vedevo con qualche amica che abbitava giù, mi facevo prestare qualcosa per leggere.
Tutto questo mi capitava quando ci avevo 14 o 15 anni, prima che scoppiasse la guerra mondiale. Per salire sopra dove abitavo ci voleva una buona mezz’ora, a principio si doveva fare un buon tratto molto ripito. Arrivato a un certo punto ero nella proprietà che si chiama cesa, con tante piante di ulive, la stradetta è fatta a zig zache, si saliva meglio, sembre si sudava tanto perché si camminava in salita.
Voglio tornare a parlare della contessa. Mi sono ricordata, si diceva che era una figlia di contadini, era molto bella, il conte se ne innamorò e se la sposò, io penzo per questo era così semplice. Ci aveva diversi figli, studiavano a Napoli. A quei tembi scuole superiori a Piedimonte non ce n’erano, chi se lo poteva permettere andava a studiare a Napoli, così i figli dei conti stavano a Napoli. Sono rimasti là, credo che sono tutti morti, genitori da molto tembo, figli pure perché più vecchi di me. Ora questo palazzo grande con tante stanze non ci abita nessuno, neanche nella piccola cappella non si dice più la messa.