Citazione

Il fidanzamento

I Ricordi di zia Maria
capitolo 24

Continuo coi miei ricordi. Io vivevo la mia vita da giovane senza cose di rilievo, ci avevo già i miei 19 anni, di fitanzati non ne volevo sapere, qualche giovanotto mi fermava, camminavo per la mia strada senza tanto ascoltarli, ero un poco strana, mi bastava stare bene con la mia famiglia. Mi piaceva fantasticare, ero contenta, aiutavo in casa, mi facevo le mie cantate durante il giorno, mi piacevano gli animali e la natura. Ero contenta così, mi bastava poco per accontentarmi. Intanto nel mio fantasticare ci mettevo pure, tra me penzavo abitando così stramanata, chi è il ragazzo che viene fin quà su per vedermi e stare con me? Era molto sacrificato, ero sicura di restare zitella, ma non me ne facevo problemi, la mia vita trascorreva tranguilla.

Ritornanto ai miei 19 anni, ci fu una svolta. Vicino al nostro uliveto ci stava un altro uliveto, lo lavorava un’altra famiglia, ci venivano solo a coltivarlo e quanto si raccoglievano le ulive. Era una famiglia pure con diversi figli, fra questi ce n’era uno abbastanza grande, dico così perché aveva fatto quasi 7 anni sotto le armi, ci aveva i suoi 27 anni. Io non lo conoscevo, quanto lui era giovanotto io ero una bambina, con tanti anni che è stato facendo il militare. Quanto veniva a lavorare mi vedeva, mi sentiva cantare, gli piacevo, diverse volte mi parlava, dicendomi qualcosa mi faceva capire che gli piacevo. Però lui non mi piaceva, pure perché nel suo sparlare ci metteva pure la bestemmia, io già tenevo mia madre che bestemmiava e ci soffrivo tanto, mi figuravo di tenere pure un fitanzato! Diverse volte mi fermava, io non ne volevo sapere. Mia madre mi diceva: «Tu ti ci devi fitanzare, è un ragazzo di buona famiglia.» A quei tembi si considerava molto la famiglia. Io le rispondevo: «A me non piace perché bestemmia!» A lei piaceva molto: era uguale a lei, buono ma abbastanza nervoso.

Un giorno mia madre uscì e quando si ritirava si ingontrarono per la strada e parlando, io credo, del più e del meno me lo portò in casa. Si mise a parlare con me, io fra me che faccio?, mi dispiaceva e le dissi di sì, così mi fitanzai. A quei tembi gli uomini andavano a casa delle fitanzate, ci si vedeva verso sera 3 giorni a settimana: il giovedì, il sabato e la domenica. La domenica ci vedevamo due volte al giorno, la mattina un poco dopo la messa e verso sera.

Piano piano, conoscendolo, mi accorsi che non era quello che mi era sembrato prima. Veramente era un bravo ragazzo, aveva ragione mia madre, me ne innamorai veramente. Non si può giudicare una persona se prima non si conosce. Così trovai quel ragazzo che fece più di due anni di sacrifici per venire su quel cucuzzolo di montagna per stare un poco con me. Spesse volte le capitava quando arrivava di trovare mio padre fuori, il quale le piaceva chiaccherare e le ingomingiava a parlare. Certamente non lo faceva per male e da una cosa ne diceva un’altra, passava il tembo che se ne doveva andare e con me non ci aveva parlato. Anche questo sopportò con pazienza, mi voleva veramente bene. Quanto c’erano le feste nel paese uscivamo per il paese, mai soli, o con la mamma o con una sorella, non si usava uscire da soli. Per tutte queste usanze i fitanzamenti non duravano tanto tembo, massimo un paio d’anni, ci si sposava presto, questo mi capitò a me.

Dopo due anni di fitanzamento si unirono i genitori per decitere per noi, dicendosi quello che ci potevano dare per aiutarci. Mia madre e la sua poco andarono d’accordo. Il giorno dopo che avevano parlato mia madre mi disse: «Tu lo devi lasciare perché non siamo d’accordo con l’aiuto che vi dobbiamo dare.»

Io le risposi: «Tu sei matta! Dopo due anni io gli voglio bene. Vedete di mettervi d’accordo perché non ho nessuna intenzione di lasciarlo!»

Così si decise per otto giorni dopo la Pasqua di quell’anno.

11 aprile 1948 con l’aiuto del buon Dio mi sposai, semblicemente, a quei tembi dopo la grande guerra si faceva così, non c’era tanto da fare sparapazzi. La sera una festicciola con pochi invitati a tarallucci e vino, si ballò col grammofano coi dischi. Verso la sera ce ne siamo andati a dormire nella piccola casetta in mezzo a due Torani che c’erano a Piedimonte, era una piccola isoletta circondata dall’acqua con un piccolo callinaio con poche galline davanti la porta, ci facevano le uova che ci servivano a torno la casetta – dico casetta: erano 3 piccole stanze, una era la stanza da letto con una piccola finestrella alta, in quella stanza mi nacque la mia prima figlia dopo 9 mesi.

Siamo stati emigrandi in Argentina più di venti anni, abbiamo fatta una bella famiglia tre femmine e due maschi, siamo stati felici. Abbiamo fatta una casa in Argentina, un poco alla volta, la lasciammo solo per il viaggio di ritorno. Abbiamo continuato in Italia, lui un gran lavoratore io una casalinga quasi perfetta. Ai nostri figli mai le abbiamo fatto mancare niente del necessario. Questa è stata la mia vita, mi è piaciuta raccontarla.

Ora sono restata senza mio marito, la legge della natura, dopo la vita c’è la morte. Chi prima e chi dopo è uguale per tutti, ci dobbiamo andare, cioè ci portano, a un luogo senza ritorno.

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