L’articolo precedente mette in evidenza quanto la lingua usata da zia Maria sia intrisa di oralità, dalla poca attenzione alla punteggiatura, che dovrebbe caratterizzare la scrittura, all’uso frequente di canzoni e modi di dire della tradizione popolare. Ma da brava studentessa di lingue straniere –ribadisco che i Ricordi sono stati oggetto della mia tesi magistrale– non potevo non dedicare un post allo studio minuzioso di tutte le particolarità che rendono l’italiano di questa mia stra-ordinaria prozia un caso unico e prezioso: sono qui protagoniste quelle che in gergo tecnico sono chiamate variazioni sincroniche, cioè tutti quei dettagli diversi rispetto alla lingua corrente, dei manoscritti di zia Maria.
Varietà diatopica (geoletto)
È impossibile una classificazione canonica, dato che l’italiano scritto di zia Maria si mescola in maniera originale e interessante con il napoletano e lo spagnolo; queste tre lingue interagiscono e si combinano in maniera variegata su tutti i piani linguistici (fonetico-fonologico, lessico e morfosintattico), anche se bisogna osservare che gli stessi fenomeni non si producono ogni volta che nel testo appare la stessa parola, ad esempio la parola “tempo” è scritta a volte secondo l’ortografia italiana tempo e altre secondo la pronuncia dialettale tembo:
piano fonetico-fonologico (a): l’ortografia delle parole tende a riflettere il dialetto (pronuncia regionale) e l’idioletto (pronuncia nasale) di zia Maria secondo i seguenti fenomeni di cambio:
geminazione delle consonanti occlusive: abbitudine, faggioli, raggionando, ribbellare, rittimo/i;
anaptissi: rittimo/i, zig zache;
assimilazione regressiva: attrosi (artrosi), ibbatto (impatto), nudrissi (nutrirsi);
apocope della sillaba post-tonica: do (dove), Gesucri, mari (Maria), ninnè/ninni (ninnella/ninnillo), vaglio (vaglione);
affricazione della fricativa alveolare /s/➝/ts/: conzumo, perziane, pulzando;
desonorizzazione di consonanti sonore e sonorizzazione di consonanti sorde1:
/b/➝/p/: ompra, ottopre, pattello, pomba;
/p/➝/b/: broblema, combagno, imbauriti, suberbo;
/d/➝/t/: contotta, fitanzamento, limbita, patre, sintacato;
/t/➝/d/: antibiodici, imbrendidrice, pesandino, rimbiandi;
/ɡ/➝/k/: emicrazione, portochese, secreto, spieca, zig zache;
/k/➝/ɡ/: conguista, inghiostro, orghestra, rigordare, sprego, tranguilla;
/dƷ/➝/t∫/: biciotteria;
/t∫/➝/dƷ/: cangello, fangiulla, guangiale, inginta;
piano fonetico-fonologico (b): rappresenta il fonema /∫/ della parola italiana “prosciutto” con grafia napoletana:
/∫/ ➝ <c>: prociutto/*procitti;
piano fonetico-fonologico (c): zia Maria, non conoscendo le regole accademiche dell’ortografia spagnola, segue quelle dell’italiano o adotta soluzioni particolari per rappresentare i fonemi che non esistono nella sua lingua materna:
<y> (congiunzione) ➝ <i>;
<ch> ➝ <ci>: ciurruca (Churruca);
<cui> ➝ <qui> e /β/ ➝ <v>: quidava (cuidaba);
<h-> ➝ <ø>: ospital, loma ermosa;
<ñ> ➝ <gn>: nigno;
<qui> ➝ <chi>: casa chinta;
/∫/➝<g>: aveggiana (avellana), Gamilla (Yamila), gastegiano (castellano), *mangioria (mayoría);
piano lessico:
parole napoletane: dovettimo (dovemmo), furomo (fummo), *l’angella (langella), mettivo (mettevo), poco non apostrofato, *preccia (vreccia), *sfera di sole2, verbi stare e tenere per essere e avere, *uviglio (’u viglio), vicino (= sopra);
parole spagnole o di reminiscenza spagnola: verbo passare (accadere), pusero (pusieron = misero);
falsi amici (parole italiane usate con significato spagnolo): non gli è caduto (andato) bene, verbo incontrare/ingontrare (trovare), verbo salire (uscire);
parola “mista” napoletana e spagnola: montoni (mentoni/montones = mucchi);
neologismo: sprogresso;
piano morfosintattico (a): influenza del napoletano:
uso di ci/ce come pronome personale complemento di terza persona singolare e plurale;
duplicazione del verbo per esprimere accettazione o indifferenza: come mi viene viene, dove si trovava trovava;
uso del complemento diretto con la locuzione verbale volere bene;
prevalenza dell’ausiliare avere con i verbi pronominali: si *anno fatto le vacanze;
uso transitivo di verbi intransitivi: mancare (= togliere), restare (= lasciare), sedere (= mettere a sedere qualcuno);
uso di verbi in forma pronominale o viceversa: bisticciarsi, creparsi dalle risate, crescersi, dimacrirsi, divorziarsi, doversi + infinito, sposare, starsi + aggettivo;
alternanza condizionale presente/imperfetto del congiuntivo3;
anteposizione dell’avverbio al verbo;
duplicazione dell’avverbio;
uso delle preposizioni: di un altro modo/di altri modi, a altre/tutte le parti, a tutte le chiese, a diversi posti, a molte case, per dove/fuori/mezo, per + infinito (idea di carenza o mancanza), uscire per;
accusativo preposizionale;
uso di pure che con valore concessivo;
piano morfosintattico (b): influenza dello spagnolo:
uso dei determinativi possessivi sua/suo/sue invece di loro per la terza persona plurale;
uso del pronome neutro lo;
uso di le come pronome personale complemento di terza persona singolare maschile e plurale;
uso di entrare + sostantivo (= iniziare);
uso di continuare + aggettivo/avverbio;
uso di seguire + aggettivo/avverbio/gerundio;
uso di mezzo (avverbio) + gerundio4: mezzo piangendo;
uso delle preposizioni: di sospetto, allo alto, con più ragione, per fine, per poter + infinito;
uso di senza + infinito.
Varietà diastratica (socioletto):
lingua familiare standard, codice ristretto.
Varietà diafasica (stile):
registro scritto che riflette quello orale, informale e di dominio privato.
NOTE:
1 «[…] l’incertezza derivante dalle pronunce lenite meridionali, cioè la debole sonorizzazione delle sorde intervocaliche, causa, ad esempio, la distribuzione erronea delle occlusive sorde e sonore /p t k/ e /b d ɡ/ […]», P. Bianchi, N. De Blasi, R. Librandi, «La Campania», F. Bruni (ed.), L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali, Torino, UTET, 1992, p. 675.
2 Quando scrive sfera, zia Maria sta cercando di tradurre in italiano il napoletano sferra, che però in realtà deriverebbe da sferza o da ferro (e, per estensione, spada). Si tratta quindi, piuttosto che di una sfera, dello stesso fenomeno che dà il titolo a uno dei romanzi della serie del commissario Montalbano, di Andrea Camilleri: Una lama di luce (Palermo, Sellerio, 2012).
3 La confusione, soprattutto nei periodi ipotetici di terzo tipo, si deve al fatto che in latino classico, la base sulla quale si è formato il napoletano, il condizionale non esistesse. Per questo, nel periodo ipotetico dell’irrealtà si usava tanto nella protasi come nell’apodosi l’imperfetto del congiuntivo (es.: Si possem, facerem); con il passare del tempo l’imperfetto del congiuntivo ha conosciuto un processo di graduale disuso e, una volta scomparso, è stato sostituito dal congiuntivo piuccheperfetto (es.: Si potuissem, facissem), dal quale deriva l’imperfetto del congiuntivo delle lingue romanze e quindi anche del napoletano (es.: Si putesse, facesse). Il condizionale nacque intorno al IV secolo con la grammaticalizzazione di una perifrasi verbale: infinito + perfetto del verbo habere (es.: facere habui ➝ toscano e italiano farei) e il suo uso si diffuse nell’apodosi delle condizionali in gran parte della penisola italiana (es.: Se potessi, farei); parallelamente a questo uso, nelle zone in cui si usava il congiuntivo imperfetto neolatino in entrambe le parti del periodo ipotetico, per analogia il condizionale iniziò a essere usato anche nella protasi (es.: Se potrei, farei). Cfr. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, vol. 3, Sintassi e formazione delle parole, Torino, Einaudi, 1969, pp. 141-143.
4 Anche se l’uso del gerundio al posto del participio presente, con funzione di apposizione, si trova spesso nella tradizione letteraria italiana e in alcuni dialetti meridionali (cfr. G. Rohlfs, op. cit., p. 107), personalmente non l’ho mai sentito tra i parlanti italiani in Campania. Dopo un sondaggio tra i miei familiari, che ha confermato la mia teoria, mi è sembrato più appropriato includere questa costruzione tra le influenze dello spagnolo nella lingua di zia Maria.