Johannes Vermeer, Ragazza col turbante, c. 1665
L’Aia, Mauritshuis
Aveva ragione: il quadro poteva soddisfare Van Ruijven, ma gli mancava qualcosa. Ci arrivai prima di lui. Quando mi avvidi di che cosa ci voleva – quel punto di luce che aveva messo in altri quadri per catturare lo sguardo dell’osservatore – rabbrividii. Ecco la fine, pensai. E avevo ragione. Tracy Chevalier (trad. Luciana Pugliese), La ragazza con l'orecchino di perla, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2000
La nostra prima Madamigemma non poteva essere che la Ragazza col turbante, forse la più popolare rappresentazione di un gioiello nella storia dell’arte. Questo dipinto non è un vero e proprio ritratto ma una tronie: una figura immaginaria, via di mezzo fra personaggio in costume – spesso esotico – e quadro storico.

L’orecchino che pende dal lobo della fanciulla è un esempio perfetto della maestria di Vermeer nell’uso della luce. Guardandolo attentamente, si nota come esso non abbia né un vero e proprio gancio, né contorni definiti, e come siano bastate al pittore due pennellate di bianco per farci percepire la presenza di una grande perla preziosa che in realtà non c’è.
Un’altra gemma è in realtà presente sulla tela, sebbene non immediatamente riconoscibile. È il lapislazzuli utilizzato per dipingere l’azzurro del turbante, proveniente dall’Afghanistan e che l’artista deve aver pagato a caro prezzo.

Per quanto sia intrigante la genesi di questo dipinto inventata da Tracy Chevalier per il romanzo La ragazza con l’orecchino di perla, nulla si sa di questa fanciulla, nemmeno se sia esistita veramente, ma di certo è affascinante pensare a cosa abbia potuto spingere Vermeer a utilizzare un pigmento tanto costoso per la sua Gioconda seicentesca.
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