In origine, Lamia era la figlia di Poseidone e bellissima regina di Libia. Zeus le donò la possibilità di togliersi e rimettersi gli occhi a piacimento ed ebbe con lei molti figli, scatenando le ire di Era che li uccise tutti, a eccezione di Scilla. Lamia, disperata, iniziò così a uccidere i bambini di altre donne, succhiandone il sangue. Questo comportamento contro natura la rese mostruosa anche nell’aspetto. Con il tempo, il mito si evolse e per questo nella mitologia greca sono presenti le lamie, mostri in parte donne e in parte serpenti che seducono gli uomini per nutrirsi della loro carne e berne il sangue.
George Frampton, Lamia, 1899-1900
Royal Academy of Arts, Londra

Quella raffigurata in questo busto in bronzo, avorio, opali e vetro di George Frampton è la Lamia protagonista del poema omonimo di John Keats, del 1819: una donna mezza serpente che, assunte sembianze umane, sta per sposare il suo amato Lycius. Alla cerimonia, un invitato svela la vera natura di Lamia e Lycius muore. Frampton ritrae Lamia un attimo prima della tragedia, con lo sguardo abbassato e un’espressione malinconica e rassegnata alla perdita del suo grande amore.
La pietra racchiusa tra gli artigli della grossa spilla sul petto e quelle incastonate nel copricapo di Lamia sono opali, simboli di passioni mutevoli e sventura. Frampton non poteva scegliere una pietra più adatta ad accompagnare la storia di un tragico amore, l’unione di eros e thanatos incarnata nel mito di questa femme fatale.
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